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Dai nostri nonni il modello agricolo vincente per la “fase 2” post-virus

16 Aprile 2020 // La Martinella di Firenze

Una ricerca dell’Università di Agraria di Firenze sul rapporto tra i modelli di agricoltura e la diffusione del Coronavirus vela come i sistemi intensivi e fortemente meccanizzati siano i più a rischio nel contagio

Presentato uno  studio dell’Università di agraria di Firenze e  dell’Osservatorio Nazionale del Paesaggio Rurale volto a capire il rapporto tra i modelli di agricoltura e la diffusione del virus. La ricerca ha  messo  in evidenza come i sistemi intensivi e fortemente meccanizzati siano più a rischio nel contagio del coronavirus.

Il professor Mauro Agnoletti, coordinatore del progetto e responsabile scientifico del programma della FAO per la tutela dei Paesaggi agricoli di rilevanza mondiale ha spiegato che sono stati quattro i modelli di agricoltura oggetto di studio: aree agricole urbane e periurbane, aree ad agricoltura intensiva come la  Pianura Padana, aree con agricoltura a media intensità energetica  e aree con agricoltura a bassa intensità energetica tipicamente nelle zone di montagna del centro-nord, nella collina rurale meridionale e in alcune aree di pianura del sud e delle isole dove si praticano sistemi tradizionali.

Il risultato della ricerca conferma quanto sospettato: Considerato il dato medio nazionale della diffusione del Coronavirus, pari a 47 casi ogni 100 kmq, nelle aree ad agricoltura intensiva l’intensità del contagio sale a 94 casi ogni 100 kmq, mentre nelle aree ad agricoltura non intensiva il dato scende a 32 casi ogni 100 kmq.

Il caso della Pianura Padana  fa realmente riflettere: qui si concentra il 61% delle aree ad agricoltura intensiva di tutto il Paese e fa registrare il 70% dei casi COVID-19 in Italia. Ma con una distribuzione differente a seconda dei modelli agricoli praticati: nelle aree della Pianura Padana ad agricoltura intensiva si registrano 138 casi ogni 100 kmq, mentre in quelle dove ad agricoltura non intensiva la media scende a 90 casi ogni 100 kmq.

Nelle aree dove resistono sistemi di agricoltura tradizionale si registrano una minore diffusione del virus: dai 9 ai 594 casi in media. Queste sono le  aree a media e bassa intensità energetica, dove sono concentrate il 68% delle superfici protette italiane, e che risultano essere le meno colpite dal Covid-19. Sono situate soprattutto nelle zone medio collinari, montane alpine ed appenniniche, caratterizzate da risorse paesaggistiche, naturalistiche ma anche culturali, storiche e produzioni tipiche legate a criteri qualitativi più che quantitativi. Il modello di agricoltura, detto altrimenti, riflette uno stile di vita diverso rispetto a quello delle zone ad alta intensità energetica.

“Una volta passata l’emergenza queste zone rappresentano un modello di sviluppo agricolo da seguire” commenta  il prof Agnoletti. Sicuramente è modello chiaramente appetibile per una buona qualità della vita, non solo perché garantiscono sicurezza alimentare, ma anche attività terziarie legate al turismo, all’agriturismo, al commercio, ai servizi e ai prodotti tipici. Sistemi che la FAO, attraverso il programma GIAHS, con la collaborazione dell’Italia, ha l’obiettivo di tutelare e promuovere in Italia e nel mondo

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Argomenti:Agricoltura, Coronavirus, ricerca, Università

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