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IL RACCONTO – Il cielo viola

16 Giugno 2020 // La Martinella di Firenze

Durante il lockdown, secondo una recentissima indagine condotta dall'Istat, sono state 5.000 le telefonate arrivate al numero antiviolenza 1522: il 73% rispetto allo stesso periodo del 2019. Per questo i centri di aiuto per le donne sono rimasti aperti ed è stato creato dal Ministero della Salute un servizio di sostegno psicologico attraverso il numero 1550. La scrittrice Rita Ragonese, dopo Di nuovo insieme, ci regala un nuovo racconto: dove viola non è solo il colore del livido sullo zigomo di Irene provocato da un uomo violento, ma quello della metamofosi e della rinascita

Durante il lockdown, secondo una recentissima indagine condotta dall’Istat, sono state 5.000 le telefonate arrivate al numero antiviolenza 1522: il 73% in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Per questo i centri di aiuto per le donne sono rimasti aperti ed è stato creato dal Ministero della Salute un servizio di sostegno psicologico attraverso il numero 1550. La scrittrice Rita Ragonese, dopo Di nuovo insieme, ci regala un nuovo racconto: dove viola non è solo il colore del livido sullo zigomo di Irene provocato da un uomo violento, ma quello della metamofosi e della rinascita

di RITA RAGONESE

Viola è il colore della spiritualità. Dicono che faccia fiorire arte e fantasia e che unisca gli opposti. Viola sono gli iris nel giardino condominiale che macchiano il lastricato con le corolle morte, facendo borbottare la portinaia.  Viola è il colore del cielo quando sta per scendere la notte e la mente costruisce  una catena di domande. Viola era la chiazza sullo zigomo gonfio di Irene, che lei cercava di nascondere  con il fondotinta  guardandosi allo specchio.

La scrittrice Rita Ragonese

A ripensarci, Irene si commuove. Sì, a rivedere quella figura derelitta impressa nella memoria prova un impulso materno, vorrebbe ancora correre a consolarla e a dirle “ne verremo fuori”. Adesso che  ne è venuta fuori davvero e può aprire la finestra e lasciare volare lo sguardo su ogni cosa, le sembra a tratti  di aver lasciato là, davanti a quello specchio, un pezzo di sé. Allora si fa sorprendere dal batticuore, lo stomaco diventa sasso e a niente vale riportare la propria presenza nella stanza accogliente, sentire la voce dell’educatrice in corridoio, avvertire la cucina al piano terra che bolle di vita sana. Irene si siede sul bordo del letto e deve tornare da lei, per forza. Come se un artiglio la stringesse e la portasse indietro, indietro fino a risalire le scale che aveva sceso l’ultima volta in barella, a rientrare nella casa coniugale mai stata protettiva, anzi complice dell’uomo che aveva sposato. Irene chiude gli occhi e scivola giù a quel pezzo di vita che era parso accettabile fino a un certo punto, poi invece sopportabile e addirittura onesto. A quando lui, l’uomo che lei aveva scelto come marito, alzava le mani e lei rispondeva “scusa”. Alla fine della corsa obbligata all’indietro, è così che Irene ritrova la donna che dovrà lentamente cominciare ad amare: in bagno, con il labbro gonfio e una goccia di sangue secco, il viso rigato di lacrime grosse, mentre accusa  se stessa di essere una stupida, di non farne mai una di giusta. Fuori, nel corridoio, il marito non può uscire e sbattere la porta come al solito, bestemmiando. C’è il lockdown. Le strade non fiatano. I bar dove scendeva a far decantare la collera sono serrati. Allora ripassa davanti alla porta del bagno, la colpisce con forza con la mano aperta urlando qualcosa. Irene all’interno sussulta. Lui torna in cucina, si versa un altro bicchiere di vino, non c’è molto altro da fare. Torna davanti alla porta del bagno e impone alla moglie di uscire, tempesta la porta con il palmo aperto e nervoso. Irene assiste alla scena già vissuta, come la spettatrice di un film famoso, senza potersi permettere di chiudere gli occhi. Appoggia lo sguardo su quella donna finita che è stata e le dice sottovoce “ne verremo fuori”. Allora la donna gira la chiave, apre la porta e lui è là che la aspetta. Irene sussurra “scusa ho sbagliato” ma è tutto inutile. Stavolta però Irene grida aiuto, grida come non ha mai fatto nemmeno da bambina, grida per rompere il silenzio mortale dell’isolamento, per essere sentita, per essere salvata.

L’ambulanza e la polizia sono precedute dalle sirene che tagliano il silenzio astrale del lockdown. Irene vede se stessa  accasciata ma viva, accarezza il viso tumefatto e dice “ecco, ce l’abbiamo fatta, era qua che dovevamo arrivare, non era più tempo di confondere la violenza con l’onestà, non abbiamo sbagliato niente. Adesso ripartiamo, c’è molto da costruire, impareremo a volerci bene”.

L’ambulanza sfreccia verso il pronto soccorso. La donna sdraiata all’interno ha gli occhi ammaccati e gonfi ma riesce a vedere la luce viola del cielo serale che filtra dai finestrini. È un colore magico. Viola è il colore della metamorfosi.

Bussano alla porta della camera. Irene è appena rientrata dalla corsa all’indietro, si è ripresa il pezzo di sé che era rimasto a piangere nella vecchia casa. L’educatrice invita tutte a scendere a cena. È una bella serata.

Argomenti:Lockdown, Rita Ragonese, violenza donne

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